BAKUNIN E MARX
La vicenda dello scontro titanico, che ebbe luogo nella Prima Internazionale tra Bakunin e Marx, ha molte valenze: personali, politiche e teoriche, tutte strettamente intrecciate, ma fu anzitutto una collisione fra due personalità. In un’epoca di grandi individualità, ancora possibili perché gli individui, in quanto brillavano ancora gli ultimi bagliori del mondo tradizionale, potevano ancora contare in misura preponderante nelle vicende storiche, entrambi si possono considerare come coloro che poterono radunare idealmente il proletariato dell’epoca attorno a sé e trascinarlo all’assalto dell’Olimpo della borghesia. Così resero breve, quasi inesistente il lasso di tempo fra il trionfo della borghesia sulla feudalità e la crisi che subito si manifestò già mentre si celebrava la vittoria, quando scoperse che tale vittoria doveva dividerla con una classe che fino a quel momento non aveva preso in considerazione come soggetto storico, il proletariato industriale. Anch’esso appena uscito dal mondo tradizionale era allora solo alla ricerca di trascinatori che gli mostrassero la via della emancipazione dai nuovi oppressori, migliori di quelli del passato ma altrettanto decisi a non rinunciare alla loro posizione di classe dominante appena conquistata.
Entrambi, in quanto ultimi eroi della storia, poterono presentarsi come incarnazione della potenza del proletariato, che guardava a loro come demiurghi che conferivano sostanza alle loro aspirazioni di classe oppressa. Entrambi erano quel tipo di persone che capaci di trasformare quelle che appaiono agli individui comuni, normalmente di mentalità concreta e con i piedi ben piantati per terra, solo ingenue utopie o folli illusioni in ogni possibile realtà, in prospettive possibili se non addirittura certe, ai propri occhi ma soprattutto a quelli altrui. Quello che detto da altri appare inconsistente come un sogno, quando è prospettato da loro la sua materia evanescente acquisisce improvvisamente concretezza, diviene un programma perseguibile e realizzabile. Come minimo un progetto degno di un risoluto tentativo.
Ma Bakunin e Marx possedevano questa qualità demiurgica, quella di materializzare i desideri, quelli propri e quelli altrui, in due forme diverse, o meglio realizzavano i propri scopi con mezzi diversi. Bakunin possedeva questo talento grazie ad una personalità magnetica, estroversa al grado estremo, e ad una energia inesauribile, qualità queste che trasmetteva a coloro che lo circondavano, ed essi a loro volta ad altri ancora. Lo si può considerare il fondatore dell’anarchismo radicale, come programma e come movimento organizzato, e riuscì nell’intento sulla base di contatti intrattenuti di persona e tramite una corrispondenza fittissima, puntando a suscitare entusiasmo e sentimenti di simpatia nei suoi interlocutori.
Il suo modo di trascinare gli individui alla rivoluzione libertaria era quello dell’iniziazione. Infatti nell’ambiente anarchico non si è anarchici per semplice professione di fede ma perché si è entrati in rapporto con qualche personalità eminente dell’anarchismo. Per cui si è iniziati per suo tramite, come lui lo fu a suo tempo. E’ una pratica che ha molto in comune con la “catena dei maestri” delle vecchie sette eretiche, tradizione ancora viva all’epoca, quella società segrete cospirative, strumento organizzativo che Bakunin usava largamente e ne teorizzava la validità, per cui si può affermare che tutto il movimento anarchico fu costruito prendendo a modello la sua personalità. O se si vuole, usando un linguaggio idealistico, tutto l’anarchismo è pervaso dal suo spirito. Per Bakunin la libertà era tutto, infatti essere anarchici è essere iniziati alla libertà, alla libertà così come era intesa da Bakunin. Tutta la sua teoria era un possente inno alla libertà, asse centrale attorno al quale era imperniato tutto il suo pensiero.
Incurante dei limiti evidenti di quella dottrina usava tale discorso, o se si vuole tale simbolo, per conquistare l’interlocutore, per attirarlo a sé con il mito della libertà assoluta, ciò che ovviamente non è possibile in nessun mondo reale, ma solo nella trascendenza. Ma l’aspirazione all’essere incondizionato, è l’eredità che viene trasmessa dall’infanzia all’adulto, in quanto non viene mai completamente superata, quindi giace sempre viva in fondo al cuore di ogni individuo ed è impossibile sottrarsi alla sua fascinazione. Libertà incondizionata significa cercare l’onnipotenza, ricerca vana per cui seguire questo percorso implica che il prezzo della libertà assoluta è il rischio permanente dell’autodistruzione e il risultato finisce per essere che l’unica libertà reale è solo quella di morire, un prezzo veramente inaccettabile.
Naturalmente Bakunin sapeva tutto questo, era ossessionato dal pensiero del suicidio; perciò fondava la realizzazione pratica della sua idea di libertà sulla solidarietà fra individui organizzati in piccoli gruppi di produttori associati e federati. Ma questo espediente implica la necessità di stipulare patti fra gli aderenti, le cui clausole limitano la libertà naturale dei sottoscrittori, anche se sono accettate liberamente. Cioè fanno rientrare dalla finestra quei limiti alla libertà in quanto tale, appena cacciati dalla porta, contraddicendo quindi l’ipotesi, cioè che esista la libertà naturale.
Al contrario il potere di fascinazione di Marx è tutto intellettuale. Anch’egli parte dall’esperienza proletaria, dal suo dramma e dal desiderio di emancipazione che lo pervade. Anche lui riesce a rendere credibile, quindi concreto, il superamento di questa disumana condizione, la cui percezione è sempre presente nonostante l’assuefazione. Perviene a questo risultato da una parte svelando il meccanismo sociale che mette in scena tale dramma, facendone una analisi oggettiva, indicandone quindi i punti deboli su cui concentrare l’attacco, ma soprattutto svelando la mistificazione ideologica che occulta l’esistenza di tale meccanismo. In altre parole, spiega perché in una società che si proclama libera e tale è apparentemente, possa esistere una pratica legalizzata di furto del lavoro altrui. Cioè dimostra in definitiva come la libertà possa essere mistificata, quindi non sia una garanzia non solo dell’eguaglianza ma nemmeno della possibilità degli individui di disporre della propria attività vitale. Ma oltre a ciò, ad un livello teorico meno concreto Marx elabora una teoria della storia dove, tracciando un grande affresco della storia umana, dimostra il carattere transeunte di ogni sistema sociale, quindi anche del capitalismo e preconizza il comunismo, quindi l’emancipazione del proletariato, come stadio immediatamente successivo e necessario. Questo lavoro teorico costituirà un gigantesco passo avanti nello sviluppo della coscienza di classe e produrrà nel movimento del proletariato dell’epoca una enorme fiducia nella potenza delle proprie lotte e nella realizzazione della propria emancipazione.
Sebbene l’idea marxiana di libertà sia diversa da quella di Bakunin, in realtà anche il discorso teorico di Marx inizia e finisce con la libertà. L’emancipazione del proletariato è identica a quella dell’umanità, perché la porterà ad emanciparsi dai condizionamenti naturali, grazie allo sviluppo del lavoro sociale, approdando quindi alla realizzazione di una libertà possibile. Ma questa è eminentemente libertà della società di fronte alla natura, libertà questa si assoluta, in cui può allora collocarsi una libertà relativa del singolo, libertà condizionata dall’interesse generale. Infatti per Marx “ il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova per sua natura oltre la sfera materiale vera e propria.” (Il Capitale, III, 48)
Ovviamente anche il concetto di libertà marxiano, seppure concreto e realistico, ha dei limiti, che sono esattamente quegli aspetti del marxismo criticati da Bakunin. La libertà pratica, fondata sul lavoro sociale, richiede una organizzazione centralizzata dello stesso, quindi innanzitutto delle strutture economiche, ma di conseguenza anche di ogni altro aspetto della vita associata. Ma ciò non può essere costruito con un semplice ricorso alla solidarietà di piccole associazioni spontanee. Qui l’idea di “armonia” come rimedio alla “gerarchia” risulta carente di fronte al gigantesco sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale e dei bisogni individuali ad esse correlati. Però è vero al contempo che centralizzazione implica una stratificazione gerarchica del potere di comando, e questa distribuzione ineguale e asimmetrica del potere decisionale non può che far riapparire le differenze di classe espulse dalla porta. Quindi è giocoforza riprendere in considerazione Bakunin, ma senza dimenticare Marx.
E’ possibile riconciliarli? Finora nessuno ci è riuscito e la questione non è da poco. Si può d’altronde affermare che tutti i movimenti rivoluzionari hanno fallito il tentativo e sono infine naufragati forse proprio perché non hanno saputo risolvere il problema ad esso sotteso, come è accaduto per la rivoluzione bolscevica. Questo rischia di essere le Forche Caudine del proletariato, quindi dell’umanità tutta nella battaglia contro la natura per realizzazione delle sue energie vitali. Il proletariato rischia infatti su questo punto di essere sconfitto e umiliato dalla borghesia, che da sempre sorride con sufficienza di fronte all’idea di comunismo, non tanto inizialmente, alla sua prima comparsa, ma certamente oggi più di ieri. Sorride a denti stretti di fronte a quella che ha sempre considerato una chimera, ma sorride.
L’ideologia borghese ha sempre mirato ad un unico fine: che i sogni del proletariato siano considerati da esso solo sogni e quindi rimangano per sempre tali. E’ la proposizione di una visione del mondo improntata ad un falso realismo, cioè ad un incitamento ad adeguarsi alla libertà borghese, per la borghesia l’unica reale e realistica, l’unica possibile nel migliore dei mondi possibili. Di fronte a questo perenne tentativo della borghesia di truccare le carte è essenziale combattere questa che sempre più è la battaglia decisiva. Questo compito essenziale, che Bakunin e Marx hanno tentato in modo eminente di portare a termine, purtroppo non riuscendoci ma impostandolo in termini definitivi e sviluppandolo nella loro furente contrapposizione. In ciò sta il loro merito e la loro grandezza, di fronte ai quali le loro miserie sono veramente aspetti trascurabili. Del resto erano identici nelle loro qualità come nei loro difetti, ed è singolare il modo in cui si rinfacciavano vicendevolmente la verità di ciò che erano, uomini con le loro debolezze ed incoerenze, essi stessi tipici prodotti dell’epoca e del mondo imperfetto che volevano cambiare.
Entrambi erano autoritari, ma Bakunin era più coerente nella sua incoerenza. Poiché da anarchico autentico teorizzava e praticava l’utopia della violenza e dell’illegalità in quanto credeva che la distruzione della società borghese fosse condizione essenziale preliminare alla costruzione di un mondo liberato, un tale scontro all’ultimo sangue implicava una organizzazione centralizzata e clandestina, struttura che non può che essere autoritaria. Inoltre sul piano caratteriale Bakunin era senz’altro più umano e accessibile di Marx, che invece era di indole astiosa e diffidente, implacabile con gli avversari, mentre Bakunin per essi aveva grande rispetto pur usando tutte le armi della polemica.
Questi i due contendenti, che oggi non sono più nemmeno immaginabili, così come il proletariato non è più quello della loro epoca, alla ricerca di condottieri, fortunatamente. Ma fortunatamente possiamo constatare ogni volta che l’umanità compie un passo avanti gli uomini considerati singolarmente, e soprattutto i grandi uomini, non sono mai essi stessi all’altezza delle loro azioni migliori. In realtà la fonte da cui scaturiscono le loro imprese non è il loro minuscolo io privato, ma tutto il mondo in cui vivono, con il quale sono tanto più in sintonia quanto più sono grandi. Da esso traggono le loro energie che proprio per questo appaiono sovrumane, e sono capaci di lasciare il segno.
valerio bertello
torino, 13 giugno 2013
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